venerdì 22 novembre 2019

Corporate Social Responsability...di Vincenzo Caratozzolo

22/11/2019

Un pezzo socio economico del nostro nuovo iscritto di Napoli Vincenzo Caratozzolo




CORPORATE SOCIAL RESPONSABILITY

La crisi che da anni funesta il nostro Paese conferma la irrinunciabile necessità del recupero di un rapporto fra etica ed economia e mostra la fragilità di un modello in cui gli operatori considerano lecito ogni comportamento in coerenza col principio dell’autoregolamentazione del mercato ed in presenza di “regolatori” sempre più deboli e prede dei “regolati”.
Occorre recuperare il concetto di “responsabilità sociale delle imprese” dove il ruolo dell’organismo economico non si limiti a garantire alti profitti all’azionista (pur legittimi essendo i fornitori del capitale) ma si estenda alla tutela degli altrettanto legittimi interessi della collettività. La protezione del lavoratore dell’ambiente, la tutela dei valori meritocratici, il rifiuto di discriminazione di sesso – razza – religione, la protezione della sicurezza delle persone, la condanna di informazione e pubblicità ingannevole, sono elementi essenziali per il recupero della credibilità del sistema. Senza, peraltro, evidenziare le piaghe della evasione fiscale e della corruzione che costituiscono in Italia i più gravi reati ostativi della garanzia di equità distributiva.
La dimensione economica delle attività della imprese non può essere perseguita senza tener conto dei suoi effetti speciali.
Il ”corporate social responsability”, in Inghilterra, ha avito ampia diffusione, peraltro supportato da efficace sistema legislativo; l’impresa, nel definire le proprie strategie ed i propri codici di comportamento, non può ignorare la ricerca di ampio “consenso sociale” e deve rendere compatibili i legittimi interessi dei suoi azionisti con le aspettative dei suoi “stakeholders”.

La breve e non certo esaustiva introduzione prelude a commenti sulla tragedia del ponte Morandi a Genova.
Premesso che i ministri della Repubblica che si sono avvicendati, dalla (non certo trasparente) concessione ad “Atlantia – Autostrade per l’Italia” dei Benetton (circa 3.500 km) all’ultima legislazione, non hanno mai rivelato le gravi inadempienze del concessionario.
L’unico che denunciò il debito di miliardi dei Benetton nei confronti della collettività fu Antonio Di Pietro, nella sua purtroppo breve veste di Ministro dell’Infrastrutture (ne sono testimone perché, all’epoca, ebbi modo con altri amici di seguire la vicenda da vicino). Le autostrade non erano pavimentate con asfalto drenante e già allora apparivano gravi carenze manutentive.
Il rischio di sospensione della concessione era concreto e fu immediatamente posto parziale riparo alle gravi inadempienze denunciate.
L’ineffabile legislatore stabilì, però, che i contratti che regolavano le concessioni autostradali diventassero segreti di Stato; veniva così ristabilito l’ignobile rapporto clientelare tra pubblico e privato in questo delicato settore.
Ma non era possibile secretare anche i bilanci; ne 2017 i bilanci di Atlantia presentavano redditività di oltre i 50 per cento e se entusiasmanti erano i risultati di esercizio non altrettanto poteva dirsi della bassa qualità delle strutture viarie e gli scarsi livelli di manutenzione.
Peraltro i lauti profitti sono quasi esclusivamente alimentati dai ricchi pedaggi il cui aumento viene stabilmente approvato da pubblici organi di vigilanza, espressione di inadeguatezza e sudditanza.
Il potere di controllo pubblico è ormai inesistente!
Basta valutare il trend degli investimenti operativi sulle infrastrutture negli ultimi anni stabilmente in calo in presenza di pedaggi stabilmente in crescita.
Né va ignorato che i favolosi utili realizzati dai Benetton hanno consentito importanti investimenti (ma non in Italia) quali per esempio l’acquisto dell’aeroporto di Nizza, l’acquisizione delle autostrade spagnole e vari altri.
E vien da chiedersi quale ruolo ha recitato l’organo pubblico di controllo in presenza del mercato rispetto agli accordi in convenzione, chi valuta la congruità dei corrispettivi?
Daniele Martini, nel suo libro “Scippo di Stato”, parla del furto delle strade.
E se è questa l’aberrante realtà delle attuali concessioni autostradali perché non valutarne la rinazionalizzazione che garantirebbe miliardi di introiti alla casse pubbliche?

In questo contesto la tragedia del ponte Morandi appare la punta dell’iceberg di un insopportabile degrado totalmente privo anche di larvati riferimenti a quel “codice di moralità mercantile” formulato tanti anni addietro da Adam Smith.

Vincenzo Caratozzolo