Un pezzo socio economico del nostro nuovo iscritto di Napoli Vincenzo Caratozzolo
CORPORATE SOCIAL
RESPONSABILITY
La crisi che da anni funesta il
nostro Paese conferma la irrinunciabile necessità del recupero di un rapporto
fra etica ed economia e mostra la fragilità di un modello in cui gli operatori
considerano lecito ogni comportamento in coerenza col principio
dell’autoregolamentazione del mercato ed in presenza di “regolatori” sempre più
deboli e prede dei “regolati”.
Occorre recuperare il concetto di
“responsabilità sociale delle imprese” dove il ruolo dell’organismo economico
non si limiti a garantire alti profitti all’azionista (pur legittimi essendo i
fornitori del capitale) ma si estenda alla tutela degli altrettanto legittimi
interessi della collettività. La protezione del lavoratore dell’ambiente, la
tutela dei valori meritocratici, il rifiuto di discriminazione di sesso – razza
– religione, la protezione della sicurezza delle persone, la condanna di
informazione e pubblicità ingannevole, sono elementi essenziali per il recupero
della credibilità del sistema. Senza, peraltro, evidenziare le piaghe della
evasione fiscale e della corruzione che costituiscono in Italia i più gravi
reati ostativi della garanzia di equità distributiva.
La dimensione economica delle
attività della imprese non può essere perseguita senza tener conto dei suoi
effetti speciali.
Il ”corporate social
responsability”, in Inghilterra, ha avito ampia diffusione, peraltro supportato
da efficace sistema legislativo; l’impresa, nel definire le proprie strategie
ed i propri codici di comportamento, non può ignorare la ricerca di ampio
“consenso sociale” e deve rendere compatibili i legittimi interessi dei suoi
azionisti con le aspettative dei suoi “stakeholders”.
La breve e non certo esaustiva
introduzione prelude a commenti sulla tragedia del ponte Morandi a Genova.
Premesso che i ministri della
Repubblica che si sono avvicendati, dalla (non certo trasparente) concessione
ad “Atlantia – Autostrade per l’Italia” dei Benetton (circa 3.500 km)
all’ultima legislazione, non hanno mai rivelato le gravi inadempienze del
concessionario.
L’unico che denunciò il debito di
miliardi dei Benetton nei confronti della collettività fu Antonio Di Pietro,
nella sua purtroppo breve veste di Ministro dell’Infrastrutture (ne sono
testimone perché, all’epoca, ebbi modo con altri amici di seguire la vicenda da
vicino). Le autostrade non erano pavimentate con asfalto drenante e già allora
apparivano gravi carenze manutentive.
Il rischio di sospensione della
concessione era concreto e fu immediatamente posto parziale riparo alle gravi
inadempienze denunciate.
L’ineffabile legislatore stabilì,
però, che i contratti che regolavano le concessioni autostradali diventassero
segreti di Stato; veniva così ristabilito l’ignobile rapporto clientelare tra
pubblico e privato in questo delicato settore.
Ma non era possibile secretare
anche i bilanci; ne 2017 i bilanci di Atlantia presentavano redditività di
oltre i 50 per cento e se entusiasmanti erano i risultati di esercizio non
altrettanto poteva dirsi della bassa qualità delle strutture viarie e gli
scarsi livelli di manutenzione.
Peraltro i lauti profitti sono
quasi esclusivamente alimentati dai ricchi pedaggi il cui aumento viene
stabilmente approvato da pubblici organi di vigilanza, espressione di
inadeguatezza e sudditanza.
Il potere di controllo pubblico è
ormai inesistente!
Basta valutare il trend degli
investimenti operativi sulle infrastrutture negli ultimi anni stabilmente in
calo in presenza di pedaggi stabilmente in crescita.
Né va ignorato che i favolosi
utili realizzati dai Benetton hanno consentito importanti investimenti (ma non
in Italia) quali per esempio l’acquisto dell’aeroporto di Nizza, l’acquisizione
delle autostrade spagnole e vari altri.
E vien da chiedersi quale ruolo
ha recitato l’organo pubblico di controllo in presenza del mercato rispetto
agli accordi in convenzione, chi valuta la congruità dei corrispettivi?
Daniele Martini, nel suo libro “Scippo
di Stato”, parla del furto delle strade.
E se è questa l’aberrante realtà
delle attuali concessioni autostradali perché non valutarne la rinazionalizzazione
che garantirebbe miliardi di introiti alla casse pubbliche?
In questo contesto la tragedia
del ponte Morandi appare la punta dell’iceberg di un insopportabile degrado
totalmente privo anche di larvati riferimenti a quel “codice di moralità
mercantile” formulato tanti anni addietro da Adam Smith.
Vincenzo Caratozzolo
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