domenica 11 agosto 2019

Contributo sull'arte del ns iscritto di Napoli Bruno Pappalardo ...



IL GENIO ITALIANO

di Bruno Pappalardo – 11.08.2019

 



Umberto Boccioni studia un corpo nudo che cammina, …corre.
Potremmo anche dire che corre nella realtà moderna. Ne fa una statua e, in quanto tale esprime l’immobilità, concetto scontatamente “classico”.
Avevano provato sia il Bernini con “Apollo e Dafne”, ovvero l’azione che si compie, l’attimo dell’evento in cui si generano nuove forme e tutto si deforme, che la plastica di Auguste Rodin col suo “ Uomo che cammina” dove le intersezioni dei muscoli sotto la pelle e in superficie si muovono sotto la luce.
Neppure la scomposizione ritmica di “ Nu descendant un escalier” ( uomo che scende le scale ) di Marcel Duchamp, può essere paragonata perché la forma è una e non può essere frammentata.
No! Boccioni non vuole suggerire un movimento che sta avvenendo, il gesto anche repentino o violento, ma realizzare una statua, una vera e propria statua,…simulacro della dinamicità del suo tempo o quello che essi indicavano, come il dover “essere”, come progetto futuro, … quello che l’uomo era destinato a formare.

Voleva realizzare un MONUMENTO all’ ” UOMO VELOCE” (Forme uniche nella continuità dello spazio, 1913)
La velocità e costante e incessante, come la fissità dell’attività cosmica.
Nessuna simulazione di movimento, dunque, ma la forma permanente e assuefatta.
Una apodittica rappresentazione di un corpo che sotto gli effetti dell’azione tumultuosa della dinamicità, della rapidità, della velocità si de-forma e, forse senza neppure saperlo inventa l’aerodinamicità, un concetto, che sarà tanto utile alla modernità.
Sintetizza l’anatomia del corpo che si sfoglia e sguscia nello spazio. L’anca è uno snodo arroncigliato di ossa e muscoli e i pettorali, le gambe, i polpacci, sotto la pressione delle correnti del vento, sfaldano trasformandosi in alette come un nuovo Mercurio. Il resto si sdoppia nelle forme che sembrano mostrare più lati del corpo fissati nella retina.  

L’Arte , in fondo, non riesce a separarsi al concorso di formazione della società. E’ sempre stata espressione dell’ideologia del sistema culturale come quello della politica, dell’economia e della scienza, soprattutto negli ultimi tre secoli. Boccioni dei primordi dell’anteguerra e del fascismo.
La storia degli artisti e quella delle loro arti, ha compartecipato sinergicamente a rappresentato la società in tutti i suoi aspetti, - siano state rivoluzioni sanguinose o silenziose o conquiste tecnologiche e scientifiche sulla natura oppure la sconfitta dei morbi che affliggono l’uomo comune

L’ARTE è, dunque, LA FORMA DELLA SOCIETÀ.

Boccioni, come Balla, Carrà, Depero, Sant’Elia e altri, aderisce al Manifesto Letterario di F.T. Marinetti del 1909 e poi, solo un anno dopo, a quello della pittura,...
Come tutte le “ rivoluzioni”, come tutte le avanguardie, ogni parte di se, si rivolge ad un estremismo polemico. Quello che in realtà si chiede è un aumento della produzione. In effetti il lavoro, lavoro per tutti per il benessere collettivo. Allora la rivoluzione ( ovviamente non tutte però hanno in comune delle caratteristiche) diventa “industriale” . E’ sempre, o spessissimo, una spinta verso la borghesia merciaia e imprenditoriale.

La BORGHESIA ci ha campato sulle “RIVOLUZIONI”.

Anche il Futurismo parlava del “Genio Primario Italiano” .

Si diceva, infatti, vicino alle masse ma non si interessava degli operai, si dichiarava europeista ma nel senso di unificare tutti i paesi che la pensavano come loro e identificando negli intellettuali, l’aristocrazia del futuro. Insomma certi aspetti si ripropongono e spesso, nella riproposizione si generano danni maggiori della prima.

La vera rivoluzione, la vera avanguardia è quella realmente legata ai luoghi di produzione, alla sanità e istruzione negata ma uguale per tutti, salvando i diritti e il reddito da lavoro. Ogni vera rivoluzione è quella che ha sempre salvato i principi morali indicati dalla comunità umana; non l’europeismo, no l’internazionalismo ma solo l’universalità del Bene.


Bruno Pappalardo

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