giovedì 2 aprile 2020

Arguta disamina sulla cosiddetta "economia socialista di mercato" cinese del nostro iscritto Giovanni Cutolo, italiano residente in Spagna!




02/04/2020

di Giovanni Cutolo

"Con la definizione di “economia socialista di mercato” si indica la struttura economica della Cina odierna, caratterizzata da un sistema misto, che cerca l’equilibrio incestuoso nel tentativo di coniugare le regole del “libero mercato” con quelle della “pianificazione dirigistica”. Sin dal 1949, all’interno di questo sistema, l’autoritarismo politico di un regime social-comunista cerca di farsi compatibile con un’economia di mercato sviluppatasi grazie ai processi di riforma degli anni Ottanta. Tale compatibilità va ricercata nella gradualità con la quale la Cina ha pilotato la ristrutturazione di un sistema economico di tipo marxista orientandolo verso le regole del libero mercato. Questa gradualità, se da una parte è stata un fattore imprescindibile per favorire il successo delle riforme, dall’altra ha lasciato in piedi alcuni fattori di instabilità. Il gradualismo delle riforme ha infatti creato un sistema in cui convivono imprese private e pubbliche, prezzi di mercato e prezzi decisi dalla pianificazione, tutela della proprietà privata e ideologia comunista, concorrenza e interventismo statale. Tutti nodi che, prima o poi, potrebbero venire al pettine.

Comunque, sia pure con notevole ritardo, il capitalismo sociale di mercato ha promosso e consentito il risveglio del gigante cinese, il quale non era mai riuscito ad accumulare le enormi risorse finanziarie necessarie per mettere in moto il cambiamento. E ciò malgrado ci fosse più volte arrivato assai vicino, individuando a più riprese processi innovativi e modalità produttive che avrebbero potuto consentire un cambio di passo e l’ingresso nella modernità. Come nel XIII secolo, quando, per esempio, il figlio del Celeste Impero costumava  decretare la chiusura delle miniere d’oro non appena le riserve del prezioso metallo sembravano essere sufficienti alle necessità di governo dello Stato. Alcuni secoli dopo, quelle enormi risorse finanziarie non mancarono invece all’Occidente e consentirono il passaggio alla modernità, attraverso quella grande trasformazione che fu la Rivoluzione Industriale. Le scoperte tecniche e scientifiche non sarebbero state sufficienti se non fossero state accompagnate da favorevoli condizioni politiche e culturali, ma anche e soprattutto finanziarie. Come quelle che, per l’appunto, si determinarono nell’Europa alla fine del settecento.

Con l’ingresso nel 2001 nel WTO-World Trade Organization, la Cina è diventata ufficialmente e riconosciutamente un player economico mondiale. È uscita dall’isolazionismo che l’aveva contraddistinta fino a quel momento, per divenire una delle BRICS, attuando una rivoluzione straordinaria. La Cina rappresenta ormai un caso assai peculiare, da qualunque lato lo si voglia osservare e giudicare. La Cina si presenta come una nazione guidata rigidamente da un partito centrale che si autodefinisce “comunista”. Economicamente si muove in modo del tutto simile a quello di una potenza “capitalista”. Molti la considerano una “dittatura” ma dimenticano che manca un dittatore in carica. Ma soprattutto sottovalutano l’enorme differenza tra la dittatura di uno e quella di molti. In Cina venerano il compianto presidente Mao, ma si guardano bene dal consentirsi la leggerezza di lasciare il governo del paese al mitico “uomo solo al comando”. Certo, in Cina i valori individuali restano subordinati a quelli della collettività e pertanto la “libertà” è andata ad abitare con il gruppo, lasciando, a noi occidentali, l’impressione di aver abbandonato il “singolo”. Ma è così da i tempi di Confucio. Sta di fatto che la Cina rappresenta oggi il più grande e interessante laboratorio pubblico di elaborazione politica, economica e sociale che ci sia.

Certamente il più avanzato.

Forse l’unico.

E quanto avvenuto durante la pandemia causata dal corona-virus, offre lo spunto per ulteriori motivi di riflessione”.


Giovanni Cutolo

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